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Gestione consapevole delle diversità

Quando perdiamo il diritto di essere differenti, perdiamo il privilegio di essere liberi.
(Charles Evans Hughes)

Il concetto di diversità impregna ogni ambito della vita, basta guardarsi intorno per rendersi conto, che siamo tutti coinvolti in un sistema che fa leva sulle diversità.

Che si tratti di diversità di genere, di orientamento religioso, generazionale, di appartenenza etnica, di orientamento sessuale, di abilità psico-fisiche, di competenze, di ruolo, ecc. la diversità si manifesta negli stili di lavoro e nelle diverse esigenze delle persone.

Eppure, le aziende italiane sembrano indifferenti di fronte al tema delle diversità.

La gestione delle diversità rappresenta una vera a propria sfida strategica, attuale e futura, che occorre capire e comprendere per poterla gestire.

Le persone all’interno dell’azienda, sono fra loro diverse, sono caratterizzate da una molteplicità di fattori che, in parte le accomunano ed in parte le differenziano, attuare una gestione efficiente ed efficace del personale richiede scelte organizzative che valorizzino la diversità, si tratta di passare dalla “gestione del personale” alla “gestione consapevole delle diversità delle persone”.

Cosa implica questo cambiamento? Quali sono i problemi che bisogna affrontare e quali i benefici che si possono trarre?

Per attuare una gestione consapevole della diversità, sono necessari due cambiamenti:

Il cambiamento culturale che ha come obiettivo quello di riconoscere, rispettare e trasformare in opportunità le diversità fra i lavoratori.

Il cambiamento organizzativo realizzato attraverso una scelta strategica proattiva della gestione delle diversità, che comporta il riconoscimento che le diversità fra le persone esistono, sono considerate un fattore rilevante e positivo ai fini aziendali, dunque occuparsi della loro gestione, rappresenta una fonte di opportunità; l’azienda decide quindi di introdurre o modificare interventi di gestione delle persone in modo da tener conto di tali diversità adottando un’ottica di medio-lungo periodo;

I problemi che l’azienda si trova ad affrontare quando sceglie la gestione consapevole delle diversità sono:

Aumento difficoltà di gestione dei rapporti dovuta all’eterogeneità nei gruppi

Resistenza al cambiamento culturale ed organizzativo

Problemi connessi all’integrazione di diversità culturali che comporta difficoltà a comprendere ed integrare aspetti culturali

Aumento delle difficoltà di comunicazione

I benefici riguardano:

riduzione di costi

aumento della competitività di impresa maggior flessibilità del lavoro e migliore capacità di problem-solving, una maggior creatività che favorisce la progettazione di nuovi prodotti e servizi ed agevola l’incremento delle vendite

miglioramento dei rapporti con i clienti– in quanto una forza lavoro diversa può rispecchiare le diversità presenti nei clienti

il miglioramento dell’immagine che permette di ottenere migliori risultati al livello delle vendite

In conclusione uno degli elementi chiave, per riuscire a ottenere gestione consapevole delle diversità è la scelta di un Diversity Management che è un particolare approccio proattivo gestionale che mette in atto un cambiamento culturale diffuso, progettando strumenti di gestione che consentano di accogliere le diversità riuscendo a creare un ambiente lavorativo in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.

per approfondire

Cambiamento Formazione formazione dipendenti industria Risorse umane
Industria 4.0…siete pronti al cambiamento?

Un nuovo vento di cambiamento soffia sui tetti dei capannoni industriali, riusciremo a coglierne le opportunità?

Che aspetto ha l’Industria 4.0?

La quarta rivoluzione industriale, viene “battezzata” con il nome di industria 4.0, in occasione della Fiera di Hannover del 2011 e non a caso è proprio questo Paese europeo il primo ad essersi attivato per sviluppare e testare nuove modalità produttive, attraverso la crescente integrazione di sistemi ciber-fisici nei processi industriali.

La nuova fabbrica digitale si caratterizzerà per:

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  • Il flusso di comunicazione interno, che sarà continuo e in tempo reale fra le postazioni di lavoro, integrando produzione e magazzino.
  • La facoltà di comunicare apporterà alla linea capacità autodiagnostica e permetterà il controllo a distanza della produzione.
  • La flessibilità dei sistemi permetterà di personalizzare i prodotti in funzione della domanda.
  • La fabbrica sarà smart anche nel senso di approvvigionarsi di energia in modo sobrio, senza sprechi e al minor costo possibile.

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C’è ancora spazio per l’uomo nell’industria 4.0 o le macchine prenderanno il sopravvento?

L’ uomo resterà al centro della tecnologia, ed è importantissimo che venga preparato per il mondo che sarà.

Questo richiede una grossa trasformazione e una grossa accelerazione.

La persona avrà il compito essenziale di controllare e correggere i parametri di produzione, oltre che donare l’apporto creativo. L’obiettivo dunque non è quello di lasciare le persone senza lavoro, bensì di fare in modo che siano più libere di dedicarsi a compiti creativi e avanzati.

Inoltre, con la digitalizzazione dei sistemi fisici, i lavoratori dovranno spendere meno tempo in un luogo di lavoro specifico e gestire l’azienda da remoto, via internet.

Le figure professionali saranno più importanti, più qualificate e quindi come tale anche meglio pagate.

L’industria 4.0 sarà una rivoluzione culturale fondata sull’ intelligenza delle persone, del lavoro e delle comunità. La conoscenza è ormai la principale forza produttiva, per questo l’industria ha bisogno di figure tecnico professionali di alta qualificazione, figure che hanno bisogno di essere formate per sfide ancora sconosciute.

Ma in azienda oggi, non ci sono solo gli operai e gli impiegati!

Infatti occorre enfatizzare la grande necessità di formazione a livello manageriale e suonare l’allarme perché moltissimi imprenditori e manager in Italia non si stanno ancora accorgendo di come mutano le condizioni al contorno e quindi come devono far cambiare le loro aziende.

Perché aspettare ancora…iniziamo a prepararci insieme per essere pronti a questa grande rivoluzione!

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Tirocinio formativo:esperienza costruttiva o perdita di tempo?

Digitando su un motore di ricerca la parola tirocinio formativo si trovano centinaia di definizioni, che spiegano cos’è, quali sono le norme che lo regolano e quali sono gli obiettivi per i quali viene proposto.

Nessuno però parla di quali sono i benefici che l’esperienza offre e come dovrebbe svolgersi.

L’azienda che decide di accogliere un tirocinante ha la possibilità d’inserire una persona con alle spalle percorsi di studi e/o esperienze lavorative, che vuole accrescere le sue competenze e misurarsi in un nuovo contesto lavorativo. La sua presenza, oltre a non gravare sul bilancio, va vissuta come un momento d’incontro durante il quale, l’azienda conosce e si confronta con la persona su idee e valori, si mettono in comune risorse e competenze con il fine di poter costruire un rapporto che possa avere un proseguo.

Un tirocinante può dunque trasformarsi in una risorsa, ma l’azienda non deve cadere nell’errore di strumentalizzare la sua presenza per supplire carenze di personale, o “utilizzarla” per svolgere compiti che altri non vogliono eseguire.

Il tirocinante ha delle mansioni prima ancora di essere inserito in azienda, il suo ruolo è sperimentare le competenze acquisite, rafforzandole attraverso l’esperienza sul campo.

  • Eppure oggi le cose sono molto diverse da quanto sopra descritto, alcune aziende non sono interessate ad accogliere tirocinanti perché ai loro occhi, sono un impegno che va a gravare sulle giornate piene d’attività; quelle che invece decidono di farlo vedono nel tirocinante la possibilità di personale a costo zero, innalzano le aspettative sulle mansioni che la persona dovrebbe saper svolgere, eliminando la dimensione formativa, che è lo scopo principale del tirocinio.

Qualche parola però va spesa anche per coloro che intendono intraprendere un percorso di tirocinio formativo, durante il quale bisogna mettere a disposizione le proprie competenze, portando valore aggiunto presso le aziende che aderiscono all’iniziativa.

E’ vero che i tirocini vengono fatti con precise finalità, ma è anche vero che:

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  • se questa esperienza viene vissuta come un modo per impiegare il tempo,
  • se si costruiscono alibi per non dare la massima disponibilità alle aziende,
  • se viene visto come un periodo durante il quale il pensiero costante è rivolto a procacciarsi una forma contrattuale

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l’esperienza perde la sua funzione diventando la conferma dei pregiudizi di coloro che non vogliono mettersi in gioco.

Ci auguriamo che le nostre riflessioni, che volutamente hanno tirato in causa i protagonisti del tirocinio, (aziende e persone), possano contribuire a sviluppare questo percorso come una grande opportunità di crescita reciproca e che l’aspetto formativo sia la base di supporto di per lo svolgimento di ogni esperienza.

Per informazioni sulle prossime iniziative contattateci.

 .

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4 generazioni lavorano fianco a fianco

Per la prima volta 4 generazioni lavorano fianco a fianco, ma…

Quante volte ci siamo chiesti se siamo capaci di farci capire e di capire ciò che gli altri dicono?

Quante notti insonni passate a pensare e ripensare ad un problema lavorativo, e a cercare una soluzione senza chiedere aiuto a chi ha più esperienza di noi?

E quante altre volte abbiamo pensato se stiamo vivendo o ci sforziamo di sopravvivere in una realtà sempre più complessa ed eterogenea? Se veramente nella nostra azienda stiamo utilizzando tutte le risorse e gli strumenti a disposizione per creare nuove opportunità e vivere armoniosamente i cambiamenti?

Tutte queste domande frullano e rifrullano continuamente nella testa delle persone, vivere in una realtà che cambia continuamente e diventa sempre più virtuale, che non ha più valori e ruoli stabiliti pronti a darci una mano nei momenti difficili, che di omogeneo ormai ha molto poco e può farci rinchiudere in pensieri utopici che iniziano con: “sarebbe tutto più facile se…”

Viviamo in un contesto economico, sociale e culturale in continua evoluzione, e per la prima volta nella storia persone con diversi valori, relazioni, obiettivi di carriera, riconoscimenti e soprattutto età diverse, si trovano a vivere fianco a fianco nello stesso contesto lavorativo, senza riuscire a trovare l’equilibrio dinamico che le aiuti a tirare fuori in maniera ottimale, il valore aggiunto che ognuna di esse può portare nella vita e nel lavoro degli altri.

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  • Ci sentiamo tagliati fuori, e appena arrivato il nuovo ragazzo che ha appena concluso il suo ciclo di studio, ed è più bravo di noi con gli strumenti tecnologici  abbiamo paura di perdere quel posto che ricopriamo da una vita che c’è costato impegno e sacrificio.

 

  • Ci preoccupiamo perché vogliamo dimostrare ad ogni costo di essere validi, e lavoriamo fino a tarda sera perché noi siamo leali all’azienda e siamo pronti a sobbarcarci sulle spalle tutto il peso del cielo per portare avanti ciò in cui crediamo.

 

  • Ci preoccupiamo perché non abbiamo più vent’anni ma ad assumerci delle responsabilità non ci sentiamo ancora pronti, diffidiamo del lavoro di squadra, che diventa un ostacolo al nostro operare e ci guardiamo sempre le spalle per difenderci dagli agguati tesi da chi è diverso da noi. Ci preoccupiamo perché vogliamo dimostrare a tutti i costi di sapere, di far valere il nostro percorso di studio che ci ha dato in mano le chiavi della vita, e aspettiamo di continuo la pacca sulla spalla come conferma della nostra “verità”.

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L’osservatorio sul Diversity Management della Sda Bocconi, nel febbraio 2012, pubblica una ricerca – che si svolge ogni tre anni – sul tema della discriminazione in azienda, indagando alcune cause come: l’aspetto fisico, il genere sessuale, l’età, la provenienza etnica… i ricercatori pensavano che, come al solito, il problema principale sarebbediversity management stato la discriminazione di genere, a svantaggio delle donne, invece, la maggior fonte di disagio rilevata è diventata l’età!

Non si era mai rilevato prima che l’età fosse un problema per il 52% dei dipendenti.

Le differenze generazionali possono essere una grande opportunità per rivedere e disegnare i processi organizzativi, ma per ottenere questo risultato non esistono soluzioni preconfezionate, o detentori del sapere, lo sforzo richiesto è notevole, comporta un cambiamento sia della visione aziendale che di quella legata alle persone, che quando entrano in un contesto lavorativo portano con sé il loro zainetto pieno di valori, esperienze, pregiudizi, relazioni, paure ecc.

Dunque come trasformare un problema in un’opportunità?

Noi di Cambiamenti nelle Organizzazioni abbiamo deciso di mettere a disposizione sia delle aziende, che delle persone, interessate a compiere questo importante passaggio, la proposta formativa di questo mese, che mira a proporre spunti di riflessione, a fare il punto della situazione, e  ad acquisire nuove competenze, per vivere al meglio tutte le opportunità, che la diversità, fonte di ricchezza, può offrirci.

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Manager o Leader?

Una domandina semplice semplice… Manager o Leader?

Sono anni che se ne parla ma, finalmente, uno tra i più autorevoli, se non il più autorevole tra gli studiosi di management, ha ri-prodotto una ricerca che dovrebbe metter fine alla questione, scombussolando le certezze dei più e schiudendo forse una nuova via per la formazione manageriale.

Lo studioso in questione si chiama Henry Mintzberg e tutti lo conoscono per via di quel suo modello di struttura organizzativa che somiglia tanto ad un batticarne con sospese due palle laterali che a trovare altra similitudine non è elegante!

Ma forse non tutti ricordano che già nei primissimi anni ’80, aveva sfornato una delle rare e serie ricerche su lavoro manageriale, pubblicato in italiano solo anni dopo col titolo “Il lavoro manageriale”, traendone una sorta di decalogo delle attività di un manager tipico da grande azienda.

A quel tempo anche Mintzberg teneva separati i tratti distintivi del leader da quelli del manager [column size=”two-third”]

Dopo una ventina d’anni da quei tempi, Mintzberg, stimolato dalle tensioni che la crisi mondiale scoppiata nel 2008 ha innestato nel sistema industriale occidentale, ritorna sui suoi passi e rifà l’analisi del lavoro manageriale, pubblicandone i risultati con un libro dal titolo “Il lavoro manageriale in pratica”!!!

Il dott. Umberto Porri, partendo dai risultati presentati nel libro di Mintzberg, propone un’interessante analisi ed interpretazione del ruolo del manager.

E’ una lettura impegnativa che gli addetti ai lavori, i manager o gli aspiranti tali non possono perdere; scaricati l’intero articolo.

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Compila e scarica il pdf

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Cambiamenti Sostenibili Risorse umane
ATTIVARE, PROGETTARE, FACILITARE.

Come il SISTEMA DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE può contribuire alla realizzazione di una svolta sostenibile dell’impresa.

[dropcap style=”1″]S[/dropcap]uperate le ambiguità che volevano la sostenibilità ridotta ad un’azione esterna, marginale, che non entra in modo strutturale nel cuore dei processi di decisione, “postuma” alla realizzazione dello specifico aziendale (filantropia), o identificata con una serie di azioni sporadiche (es. interventi sulle fonti energetiche) o all’adozione di qualche strumento di responsabilità sociale (codice etico, bilancio di sostenibilità ecc.), ci si sta convincendo che la sostenibilità sia per un’impresa fattore cruciale di competitività per il futuro.

Si è divenuti consapevoli che per essere davvero strategica essa deve permeare l’azione aziendale a tutti i suoi livelli, declinandosi nelle diverse funzioni aziendali e sviluppando un modo nuovo di lavorare.

Questo percorso di implementazione della sostenibilità, passa sicuramente attraverso strumenti codificati, ma ancor più e prima, attraverso le persone e l’organizzazione che le tiene insieme. Le organizzazioni, infatti, cambiano solo se le persone che le popolano sono disposte a farlo.

A partire da questo dato è possibile comprendere che il sistema di gestione delle risorse umane può svolgere un ruolo chiave per favorire lo sviluppo di questa impronta strategica, perché lavora su, con e per le persone che operano in azienda, ha la possibilità di presidiare molteplici livelli, da quelli individuali a quelli organizzativi e perché, avendo a che fare con molti dei portatori d’interesse fondamentali (proprietà, manager, operativi), ha la possibilità di costruire un progetto unitario finalizzato al radicamento di una visione d’insieme orientata alla soddisfazione dei diversi stakeholder.

Il sistema di gestione delle risorse umane in questa nostra ipotesi può avere sicuramente tre ruoli chiave: un ruolo di attivatore, uno di gestore della progettazione ed uno di facilitatore.

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      • attivatore di una diversa cultura d’impresa, che significa spingere alla discussione, revisione e diffusione di un quadro valoriale, concettuale, simbolico e di linguaggio su cui l’azienda, consapevolmente o meno, si muove. Questo in forza del fatto che la sostenibilità, prima di tutto, è un nuovo modo di vedere la realtà economica, non un orpello aggiuntivo al fare economico. Può inoltre favorire la possibilità di definire all’interno dell’azienda in cosa consista la sostenibilità per quella determinata impresa, in base alla sua specifica identità e storia, perseguendo con costanza la focalizzazione sugli obiettivi sostenibili delle persone che in azienda operano, i diversi stakeholder, i quali sono per natura e relazione, portatori di interessi diversi e potenzialmente divergenti; costruendo un sistema di comunicazione che favorisca la diffusione di una identità responsabile e sostenibile, motivando sul senso di questa trasformazione, e infine spingendo all’acquisizione di quelle nuove competenze necessarie a strutturare e innovare attraverso l’adozione di una logica di sostenibilità;
      • gestore della progettazione dei meccanismi strutturali (ruoli, metodi, processi, procedure, indicatori di impatto) che sono in grado di consentire e sviluppare processi di cambiamento. Ed in particolare, supporto alla definizione dei passaggi necessari alla implementazione della sostenibilità che siano in grado di tenere conto delle esperienze pregresse e delle esigenze di adattamento a circostanze nuove e specifiche; disegno dei ruoli che dovrà enfatizzare la responsabilizzazione dei singoli e insieme esplicitare l’impatto delle prestazioni ambientali e sociali dell’organizzazione nei diversi ruoli, dovrà incentivare modalità di lavoro di gruppo in cui si favorisca l’apprendimento reciproco, la condivisione di valori e la possibilità di creare innovazione;
      • facilitatore, supportando l’organizzazione nell’insieme e nelle sue parti in un lavoro di superamento continuo delle resistenze al cambiamento, forti e pervasive in ogni fase di cambiamento e ancora più nella transizione da una visione dell’azienda tradizionale (orientata al profitto) ad una visione orientata a promuovere processi di lavoro e prodotti/servizi che favoriscono l’equità inter e intragenerazionale (orientata alla realizzazione di valore economico, ambientale e sociale).[/list]

Certo un’ipotesi di questo tipo rappresenta un’evoluzione notevole del sistema di gestione delle risorse, considerando il livello di partenza attuale, ma significa riconoscere, a nostro avviso, il valore aggiunto di una funzione spesso ridotta alla gestione amministrativa del personale aziendale e per questo vista più come un costo esternalizzabile, che una risorsa vitale per la gestione del cambiamento.

Finanziamenti alla formazione Risorse umane
Finanziamenti per imprese e lavoratori

La Regione Veneto investe sul vostro futuro professionale di lavoratori ed imprenditori

Qualcuno potrebbe pensare, perché la Regione Veneto non investe su di me proponendomi un posto di lavoro invece di propormi un corso di formazione? Allora, investe su di me o sugli Enti che organizzano i corsi?

[dropcap style=”1″]N[/dropcap]oi di Cambiamenti nelle Organizzazioni siamo sicuramente di parte in quanto Ente accreditato, ma vogliamo ugualmente dire la nostra. Siamo convinti che l’attuale crisi economica e del mercato del lavoro sia una crisi profonda e strutturale con origini lontane spesso indipendenti da noi.

Ma questo non spiega tutto, noi pensiamo che ci siano ragioni che ci rendono corresponsabili, come una diffusa mancanza di competenze ed in particolare di competenze adeguate alle reali esigenze del mercato del lavoro. Così come affermava Einstein spesso le crisi sono dovute all’incompetenza.

Che se ne dica i posti di lavoro non si creano ne con le promesse e nemmeno a tavolino ma soltanto se il mondo produttivo riesce ad essere competitivo perché produce od eroga servizi meglio degli altri, in un rapporto qualità/costo vantaggioso rispetto ai concorrenti.

E le aziende sono competitive solo se possono contare su persone competenti, imprenditori e collaboratori tutti.

[dropcap style=”1″]N[/dropcap]on possiamo dimenticare poi che le competenze sono soggette ad invecchiamento ed in alcuni casi “muoiono” proprio, cioè non sono più richieste dal mercato del lavoro. La velocità del cambiamento e la globalizzazione determinano lo spostamento delle aree produttive nel mondo in zone a minor costo lavoro mettendo i paesi più sviluppati nella condizione di concentrarsi su altre attività a maggior contenuto di conoscenza.

Ecco perché oggi e nel futuro sono e saranno richieste dal mercato del lavoro nuove e più strutturate competenze professionali in tutti coloro che lavorano.

La formazione rappresenta il modo più efficace di sostenere la professionalità dei lavoratori e, se tanto mi da tanto, chi investe sulla formazione investe sul proprio futuro.

Detto questo, di seguito diamo indicazione delle politiche di finanziamento regionale.

La Regione del Veneto ha emanato la direttiva 702 del 14/05/2013 “per favorire l’occupabilità di lavoratori che incontrano particolari difficoltà ad affermarsi nel mercato del lavoro proponendo l’attuazione di avanzate politiche attive.”

È questo un impegno che continua dal 2009 e che quest’anno ha visto l’introduzione di nuove modalità di erogazione dei servizi in quanto saranno direttamente le persone beneficiarie degli ammortizzatori in deroga, o disoccupate senza alcun ammortizzatore sociale a rivolgersi direttamente agli Enti accreditati presenti sul territorio per ottenere i servizi a loro dedicati.

I servizi che verranno erogati sono di due tipi:

TIPOLOGIA A: rivolti direttamente alle persone interessate al reinserimento lavorativo

TIPOLOGIA B: rivolti alle aziende che intendono rilanciare la produttività e l’occupazione adeguano le competenze dei lavoratori sospesi

[toggle title=” per le persone”]

Destinatari delle politiche attive del lavoro sono:

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  • lavoratori in cassa integrazioneCIGS o CIG in derogaa zero ore con almeno 6 mesi di sospensione di imprese aventi unità produttive ubicate in Veneto
  • lavoratori, iscritti alle liste di mobilità (ex lege n. 223/1991 e n. 236/1993) e mobilità in deroga, domiciliati in Veneto, di imprese aventi unità produttive ubicate in Veneto
  • disoccupati di lunga durata, persone cioè che cercano una nuova occupazione da più di 12 mesi o da più di 6 mesi se giovani (giovani si intendono persone con età compresa fra 18 e 25 anni compiuti o fino ai 29 anni compiuti se in possesso di laurea)[/list]

Ogni destinatario può rivolgersi ad un Ente accreditato dalla Regione Veneto ai servizi al lavoro per richiedere informazioni circa le attività proposte dal singolo ente.

Una volta individuato l’Ente la persona svolgerà attività di informazione ed accoglienza per stesura del patto di Servizio (PdS) ed elaborazione del Piano di Azione Individuale (PAI).

A seguito dell’approvazione del progetto da parte della Regione i beneficiari potranno usufruire di uno o più interventi nell’ambito delle attività di:

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  • accompagnamento al mercato del lavoro e sostegno all’autoimprenditorialità
  • tirocinio di inserimento o reinserimento lavorativo (minimo 2 – massimo 4 mesi)
  • laboratorio
  • formazione (per gli interventi formativi superiori alle 20 ore verrà rilasciato attestato dei risultati di apprendimento).

 [/list]

Per le persone che non usufruiscono di alcun sostegno al reddito (sostegno per cassa integrazione o mobilità), è prevista l’erogazione di un’indennità di frequenza per le attività svolte, il cui valore orario è pari a 3 €/ora; tale indennità sarà pari a 6 €/ora nel caso di ISEE ≤ 20.000 €. L’ indennità di frequenza sarà riconosciuta solo per le ore effettivamente svolte e solo se la persona avrà raggiunto la frequenza di almeno il 70% del monte ore previsto nel suo progetto.

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[/toggle]

[toggle title=”per le imprese”]

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  • che hanno richiesto ed ottenuto la Cassa Integrazione
  • che desiderano inserire giovani formati in stage/tirocinio
  • che intendono rilanciare l’attività produttiva (finanziamenti a fondo perduto)

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Cambiamenti Sostenibili Risorse umane
La sostenibilità? Questione di persone!

La sostenibilità aziendale richiede un nuovo modello d’impresa basato su un diverso modo di gestire il lavoro.

[dropcap style=”1″]S[/dropcap]e intendiamo la sostenibilità in senso ampio e cioè come capacità dell’azienda di sopravvivere ed avere successo in un ambiente competitivo e dinamico, capiamo bene che competere attraverso la sostenibilità significhi:

[list style=”tick”]

  • garantire  una dimensione di medio-lungo termine attraverso la capacità di innovare che tenga conto di minori risorse e di un ruolo nuovo di protagonista e non di spettatore, rispetto alle vicende del pianeta;
  • adattarsi al cambiamento come condizione costitutiva e non come accadimento sporadico;
  • orientare le proprie risorse, economiche, materiali, finanziare e umane in un’ottica di creazione di valore condiviso: per il cliente, per l’ambiente, per i dipendenti, per la comunità…

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Pensare la sostenibilità come riduzione degli sprechi e diversificazione delle fonti di energia rappresenta una visione riduttiva della sostenibilità, molto diffusa, ma che finisce con lo svuotare di senso un passaggio chiave. Una visione che non permette di realizzare un sostanziale cambiamento nell’agire economico, pur essendo indiscutibilmente una via “facile”, per ridurre i costi ed essere un po’ meno dannosi.

La sostenibilità aziendale, secondo la nostra visione, trova senso solo in un modo più articolato e diverso di concepire la strategia, l’organizzazione e la gestione. Insomma nel concepire un nuovo modello di impresa.

E in questo senso è una strada che passa tramite le persone, attraverso:

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  • chi sceglie di orientare la sua azienda secondo criteri non di profitto a breve ma di sviluppo a medio-lungo termine (con tutte le implicazioni richieste da tale scelta),
  • attraverso chi declina l’essere sostenibile nei diversi ambiti e nelle molteplici risposte alle problematiche che l’azienda deve gestire (finanziario, logistico, produttivo, commerciale)
  • attraverso chi la attua nell’operatività quotidiana (dal modo di rispondere ai bisogni dei clienti, al modo di gestire i rapporti con i fornitori).

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Questo perché la sostenibilità non è faccenda dell’ufficio comunicazione, né del reparto di produzione, ma dovrebbe essere l’orientamento di fondo dell’azienda, intesa come organizzazione di persone. E senza persone capaci di trasferire nella propria cultura aziendale i nuovi orizzonti a cui l’idea di sostenibilità è collegata, di articolare soluzioni che tengano conto della propria storia ma la innovino dall’interno, di promuovere, realizzare e monitorare piccoli cambiamenti, attuare il cambiamento in chiave sostenibile rischia di ridursi ad un imbellettamento a fini pubblicitari, senza che siano messi in atto gli strumenti giusti per stare sul mercato con la capacità di traghettare una storia aziendale verso il futuro. E ciò, alimentando il fuoco dello scetticismo di quanti considerano l’agire sostenibile di molte aziende come una nuova ma inutile bolla, che in realtà scoppierà senza lasciare tracce.

[dropcap style=”1″]P[/dropcap]er essere fattore efficace e reale di differenziazione rispetto alla concorrenza, la sostenibilità deve invece divenire pratica vissuta e gestita a tutti i livelli (proprietario, manageriale, operativo) e da tutti, il che richiede conoscenze e competenze nuove, da quelle di tipo strategico (tenere conto per esempio dell’aspetto ambientale non come accidente secondario, ma come fatto determinante nella definizione del prodotto, del processo di produzione, vendita e utilizzo da parte del cliente) a quelle manageriali che devono orientare alla realizzazione di quella strategia, a quelle tipo tecnico (uso diverso dei materiali, ottimizzazione del ciclo di vita del prodotto),  fino ad arrivare ad un modo nuovo di gestire il lavoro, su base collaborativa e di responsabilità diffusa.

[dropcap style=”1″]S[/dropcap]ignifica formare ad un uso consapevole e perciò attento delle risorse che si utilizzano (di tutte), trovare soluzioni nuove a problemi nuovi, apprendere nuove modalità e strumenti di coinvolgimento e di responsabilizzazione dei collaboratori e dei dipendenti.

Quello che ci stanno dicendo alcune delle tendenze in atto è che in un’economia come quella che si prefigura all’orizzonte, l’azienda non potrà che camminare sulle gambe del proprio capitale umano. Ciò inevitabilmente  richiederà un cambio di cultura generale interna all’azienda e un cambio di prospettiva nella gestione delle persone che da fattore da amministrare dovranno diventare fattore da sviluppare. Ma questo non solo a vantaggio del singolo lavoratore ma per una prospettiva di futuro per l’azienda.

Outplacement Risorse umane
Ricollocazione professionale

Cosa s’intende per ricollocazione professionale? Quali sono le caratteristiche ed i vantaggi per le aziende ed i lavoratori?

Sono questi alcuni dei quesiti ai quali daremo risposta nell’articolo di oggi.

Prima di tutto proponiamo la versione semplificata del passaggio normativo che introduce la ricollocazione professionale in caso di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

[toggle title=”LEGGE 28 giugno 2012 , n. 92 Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro – Art. 1 comma 40″ ] … il licenziamento per giustificato motivo oggettivo derivante da crisi dell’impresa, da cessazione dell’attività e, anche solo, dal venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore qualora, disposto da un datore di lavoro con più di 15 dipendenti, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione Territoriale del Lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.

Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
La Direzione Territoriale del Lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione. (…)
Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia Agenzie per il lavoro previste dal Ministero del lavoro (consulta l’albo informatico delle agenzie autorizzate) [/toggle]

[dropcap style=”1″]C[/dropcap]ome abbiamo appena visto, l’outplacement è uno strumento di ricollocamento previsto anche dall’attuale riforma del mercato del lavoro che le aziende possono proporre ai propri dipendenti quando viene concordato il licenziamento.

Offrire la possibilità dell’outplacement non cambia la sostanza (il licenziamento), ma muta completamente il modo in cui questo avviene sottolineando l’importanza che viene data dall’azienda al welfare to work.

Nella nostra società è cambiato in questi anni il concetto di lavoro. Si è passati dalla cultura del posto fisso, del contratto a tempo indeterminato a quella della flessibilità dove diventa premiante per l’individuo agire in funzione della propria occupabilità.
L’outplacement, individuale e/o collettivo, è uno strumento ancora poco diffuso, oggi, ma il tema della ricollocazione dei lavoratori è certamente di interesse per chi si occupa di persone e per tutti quegli attori coinvolti a vario titolo a riflettere e promuovere quelle politiche legate al lavoro tese a far rimanere le persone fuori dal mercato del lavoro il minor tempo possibile.
Perdere il lavoro può portare la persona a vivere un periodo di depressione, ad una apatia che non le permette di attivarsi realmente nella ricerca di una nuova occupazione.

L’outplacement offre la possibilità al dipendente licenziato di intraprendere un percorso di ricollocamento supportato da un consulente che non si sostituirà a lui nel trovare una nuova opportunità professionale, ma che lo accompagnerà nelle diverse fasi di questa ricerca in un momento delicato come quello di trovarsi a vivere il “lutto” professionale.

La persona ha così la possibilità di prendere coscienza delle proprie risorse, di effettuare un bilancio di competenze per comprendere se queste sono davvero sufficienti per una nuova occupabilità o se è necessaria un’attività di formazione e di sviluppo professionale.

[dropcap style=”1″]È[/dropcap] l’occasione per fare propri quegli strumenti del marketing che sono alla base della propria autopromozione sul mercato e per acquisire un metodo che la persona può far proprio nella ricerca di nuova occupazione e che può esserle utile anche in altri momenti della sua vita professionale.
I dati dimostrano che chi affronta un percorso di outplacement si ricolloca più velocemente rispetto a chi non usufruisce di tale servizio.

In sintesi i dipendenti coinvolti dal processo di outplacement hanno la possibilità di:

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  • ridurre i tempi di ricollocazione lavorativa, attraverso il sostegno di un professionista nella ricerca di una nuova opportunità professionale;
  • acquisire una maggior consapevolezza di sé e delle proprie capacità e aspirazioni professionali;
  • riproporsi sul mercato del lavoro in modo mirato;
  • avere un supporto psicologico per affrontare la nuova situazione, riducendo lo stress che ne deriva .

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Qual è il vantaggio per l’azienda?

Sia l’outplacement individuale che collettivo rappresentano un’opportunità per l’azienda, in quanto:

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  • possono rendere più semplice e positivo il processo di riduzione del personale, limitando i rischi di controversie legali con conseguenti vantaggi economici e di immagine;
  • consentono di agevolare gli accordi sindacali e gestire i processi organizzativi, favorendo la ricollocazione degli esuberi;
  • riducono i tempi per arrivare alla “separazione”, sempre costosi e dannosi al clima aziendale;
  • trasmette nel mercato del lavoro l’immagine di un’azienda che si fa carico del peso sociale della perdita del lavoro

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Formazione Outdoor
La formazione Outdoor ed i processi di cambiamento

La formazione outdoor può aiutare le aziende e le persone nel processo di cambiamento?

[dropcap style=”1″]L[/dropcap]a crisi economica impone a persone ed aziende di cambiare per non esserne travolti, impone di fare squadra. La formazione ed in particolare la formazione outdoor può essere uno strumento efficace per supportare gli individui a fronteggiare tale crisi?

La difficile situazione politica attuale è figlia di una crisi economica che ha avuto inizio quasi una ventina di anni fa, la quale, a sua volta, è frutto di una crisi sociale e culturale innescata nella società italiana dal cambiamento nei valori e nei modelli di comportamento che hanno spostato l’enfasi dalla società e dai gruppi all’individuo. Nelle fasi storiche in cui si stava delineando la globalizzazione, lo svuotamento dei poteri autonomi degli Stati a favore della finanza internazionale e sovranazionale ha comportato la perdita dell’identità nazionale da parte degli individui, illusi di poter divenire facilmente essi stessi sovranazionali, cioè non bisognosi di un’appartenenza sociale e culturale, per godere dei vantaggi di una flessibilità senza confini, soprattutto finanziari.

Ma ora che la globalizzazione è realtà si scoprono i limiti e i pericoli, finanziari e sociali, che si porta dentro.

[dropcap style=”1″]O[/dropcap]ccorreranno altri decenni perché si possano risanare i guasti delle “bolle” che ha fatto scoppiare, nel mentre le imprese sono alle prese con problemi enormi che richiedono risposte immediate.

Risposte che necessitano di persone in grado di affrontare l’incertezza, i problemi in essere di cui non esistono ricette spiegabili da alcuna delle teorie esplicative del mondo, economiche e sociali.

Che fare?

Domanda antica come il mondo.

Non lo so. Risposta adeguata, cui si può aggiungere, “però ci provo con una idea”.

Si può suggerire alle aziende di insistere con la formazione, ma non con la solita, quella fatta di esperti, da un lato, e di “discenti” dall’altro.

Per l’obiettivo principale da perseguire, cambiare l’approccio culturale alla società e all’economia, occorre sapersi cambiare dentro, nei processi mentali e culturali, per tornare un po’ all’antico, cioè ad alcuni dei valori persi per strada dopo la fuga nel globale.

Una formazione realmente alla portata di individui adulti, che apprendono dall’esperienza, non può che essere essa stessa “esperienziale”.

Cos’è la formazione outdoor?

[dropcap style=”1″]È[/dropcap] la possibilità di mettere le persone di fronte a problemi nuovi, da affrontarsi con l’intero apparato, fisico e mentale, di cui dispongono in modo che le soluzioni non siano solo “intellettuali” ma concrete, dovendosi percorrere sul terreno le soluzioni progettate.

Pensare-fare-ripensare-rifare, e via nella sequenza circolare che è poi quella che ciascuno utilizza in azienda. Con la differenza che può essere vissuta in contesti non abituali, di fronte a problemi nuovi, perché è questa la condizione “normale” dei tempi della nostra crisi.

Vari sono i contesti nei quali può attuarsi la formazione esperienziale di tipo outdoor training: dal bosco, al fiume, al deserto; con la pioggia, sulla neve, remando e soprattutto, camminando, poiché la metafora del cammino per sentieri ignoti è certamente la più adeguata e la più potente.

[dropcap style=”1″]L[/dropcap]a formazione esperienziale risulta pertanto in linea con il compito centrale che le imprese devono affrontare: trovare risposte nuove e adeguate a problemi nuovi e complicati. Attraverso di essa le persone, le aziende possono allenarsi a fronteggiare il cambiamento a cui sono quotidianamente esposte.

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